PRIMA EDIZIONE
Voci d’acqua (Premio del Pubblico) – Con la scelta vincente di una semplicissima struttura modulare, quasi a griglia, il lavoro di Fabio Pasini è al contempo un’indagine antropologica – le testimonianze provengono da persone dai più diversi percorsi di vita ed estrazioni socioculturali – e un meraviglioso ritratto naturalistico.
A noi rimane il mondo (Premio Speciale della Giuria) – Il grande documentario di Armin Ferrari sulla Wu Ming Foundation ha la perfetta capacità di coniugare documentario urbano e cinema ambientalista, forte di una vera originalità della narrazione, grazie all’utilizzo impeccabile di materiale archivistico e a un linguaggio del tutto anticlassico. Alla Giuria del F.I.D.U.CI.A è parso il lavoro più innovativo del festival.
Amuka (Premio F.I.D.U.CI.A. per il Miglior Film) – Con una produzione di respiro internazionale, il documentario antropologico di Antonio Spanò rimette al centro del discorso la ricchezza del sud del mondo e la questione dell’emancipazione femminile nel ritratto di una società matriarcale, ma anche le conseguenze del neocolonialismo. Spanò ci parla del Congo, ma allo stesso tempo ci mostra e ci ricorda le nostre lotte, attraverso narrazione, fotografia e colonna sonora impeccabili.
I EDIZIONE F.I.D.U.CI.A. – IL COMMENTO DELLA GIURIA
Inferno in paradiso (Tiziana Caminada) – Il documentario-inchiesta, dall’approccio giornalistico, ha il taglio di un reportage televisivo – nel senso migliore del termine – ed è molto attinente al tema del festival.
Incontroluce (Valerio Cammarata) – Un lavoro scolastico, meritevole nel gusto citazionista cinefilo e nell’inserimento di una colonna sonora rock suonata da musicisti giovani ed emergenti.
Rue Garibaldi (Federico Francioni) – L’atmosfera claustrofobica evocata dal taglio di luci e ombre sui volti e sui corpi dei protagonisti cambia leggermente direzione nel finale, aprendo il film a uno spiraglio di vita nuova.
Il contatto (Andrea Dalpian) – Tecnicamente ineccepibile, il documentario ha un taglio visivo classico ma filtrato da un gusto tutto contemporaneo, trattenendosi dall’invasione dello sguardo umano. Imperdibili le sequenze finali riprese dal punto di vista dei lupi.
Giardini indecisi (Emilio Tremolada) – A tratti spettacolare, è quasi un album fotografico in movimento, molto curato. Si serve di una narrazione particolare, talvolta esaltata dall’uso del 4K.
L’onda lunga (Simone Pizzi) – Procede in modo didattico, ha il valore della documentazione storica del difficile periodo preso in esame e delle sue ricadute individuali e collettive.
Il tempo del Casoncello (Emilio Tremolada) – Interessante panoramica su un luogo magico. Abbiamo apprezzato il film perché adotta uno sguardo visionario coadiuvato dalla presenza di una protagonista forte.
Su queste montagne (Andrea Sbarretti) – Ha la capacità di concentrarsi su personaggi particolari e interessanti al punto che, durante la visione, a tratti il coinvolgimento narrativo assomiglia a quello tipico di un film di finzione.
La frequentazione dell’orso (Federico Betta) – Ha un valore storico intrinseco poiché ricostruisce una possibile storia dell’ecologismo italiano, riconoscendo Trento come città pioniera nell’attenzione al tema.
L’oro di Venezia (Nicola Pittarello) – Il bel titolo del film introduce un importante lavoro di ricerca e documentazione: splendide le immagini di repertorio, rivelatrici di un assiduo lavoro d’archivio.
Pupus (Miriam Cossu) – Il documentario si concentra su una dimensione poco visitata dal festival: lo sguardo infantile e preadolescenziale sul mondo, in una vita che si fa a conduzione familiare.
Alpinestate (Michele Trentini) – La sobrietà e la capacità di argomentazione sono assai efficaci, così come è meritevole la cura estetica. A tratti, si percepisce una sottile ironia à la Ghirri. Elegantissima la veste grafica dei titoli di coda.
S’Avanzada (Francesco Palomba) – Potente e centrato, il lavoro documenta la vera e propria realizzazione di un sogno. Ottime le sequenze delle fasi più ardue delle arrampicate.
Ci vuole un fiore (Vincenzo Notaro) – Il film racconta una splendida realtà metropolitana e allo stesso tempo rurale: gli orti urbani di Roma diventano spazi di riappropriazione non solo del proprio lavoro, ma del tempo e della vita in comunità. Riuscitissimo.
Ci vediamo, domani (Luca Contieri, Girolamo Lanzafame) – Il rapporto padre-figlio è messo in scena con delicatezza e anche divertimento ed è impreziosito dalle parole di quella che, non ci trovassimo in un documentario, sembrerebbe – più che una famiglia – una navigata compagnia teatrale. Azzeccata secondo noi la scelta dell’animazione a corredo di alcune sequenze.
Io non faccio finta di niente (Rosy Battaglia) – Il documentario-inchiesta porta con sé la forza della determinazione delle anime protagoniste del film attraverso vicende seguite negli anni. La cittadinanza compie un piccolo miracolo, testimoniato a dovere dalle immagini della regista.
Spartivento (Marco Piccarreda) – Assieme a Pupus e a Ci vediamo, domani, questo bel lavoro si colloca in una sorta di trilogia sentimentale del F.I.D.U.CI.A. e ha il merito di trattare il disagio in modo non patetico. Stupendo e toccante – per come viene tratteggiato – il rapporto tra nonna e nipote.
Il parco della palude di Onara (Gianluca Doremi) – Un lavoro bivalente: da un lato, fotografia/cartolina della bellezza naturalistica del luogo; dall’altro, indagine storica e percorso culturale.
Living In A Postcard (Christian Nicoletta) – Un ottimo lavoro che finalmente apre un occhio dall’interno sui conflitti e sulle ferite causate dalla monocultura turistica e sull’insostenibilità del turismo di massa.